Marvel’s Iron Fist – 2° stagione

Sono reduce da un finesettimana di ozio totale, durante il quale mi sono visto in meno di trentasei ore tutti i dieci episodi della seconda stagione di Marvel’s Iron Fist.

Voglio iniziare questo articolo proprio dal numero degli episodi, scesi da tredici a dieci, ovvero circa due ore in meno. L’ho trovata una decisione azzeccata sebbene credo sia motivata dallo scarso successo della prima stagione piuttosto che da una precisa scelta stilistica. Altre serie Marvel/Netflix hanno a mio avviso sofferto la lungaggine di una seconda stagione di tredici episodi, soprattutto perché sono serie con delle storie molto intime e di modesta portata, ovvero tra le trafficate vie di un quartiere di New York. In prodotti del genere non c’è abbastanza spazio per dilungarsi troppo, non ci sono abbastanza personaggi da approfondire, non ci sono abbastanza posti da esplorare, perciò ci si riduce a degli episodi filler, ad allungare il brodo o, nel migliore dei casi, a dei crossover.

Spendo anche due parole sul personaggio di Danny Rand in generale, prima di discutere della stagione. A me Danny Rand piace e trovo che Finn Jones sia una scelta decisamente azzeccata (superata solo da Krysten Ritter come Jessica Jones). Danny non è un eroe fatto e finito, con una saggezza che gli fa prendere sempre la decisione giusta, una carisma magnetico o un portamento militare. È un giovane uomo pieno di insicurezze, dubbi, che fa molto affidamento sulle persone a lui vicine, venendo più e più volte tradito, ferito o manipolato. È un inguaribile ottimista e non smette mai di vedere il lato buono delle persone, sua grandissima debolezza. Aggiungendo un immancabile passato tragico e un potere straordinario ne viene fuori un personaggio molto più umano e positivo rispetto ai suoi compari Defenders.

La seconda stagione si apre con Danny e Colleen che convivono nell’ex dojo della ragazza. Colleen ha appeso la katana al muro, letteralmente, e fa la volontaria in un centro di accoglienza. Danny invece lavora in un’azienda di traslochi e la sera, raccogliendo l’eredità di Daredevil, pattuglia il quartiere, mettendo i bastoni fra le ruote alle varie organizzazioni criminali che a New York pare sbuchino come funghi (tranquilli, Danny è ancora schifosamente ricco ma decide di non godere della sua immensa fortuna). La trama dell’intera stagione viene delineata già da subito: con la sparizione della Mano, spazzata via grazie allo sforzo congiunto dei quattro Difensori, diverse gang criminali cercano di consolidare la loro posizione a Chinatown, ovviamente a scapito delle altre.

A complicare il tutto ci si mettono Joy Meachum e Davos, che già nel season finale avevamo capito che volevano allearsi per mettere i bastoni fra le ruote al protagonista. Ad aiutare questa improbabile coppia arriva la rivealzione di questa stagione, Mary Walker, una ex militare ingaggiata dalla facoltosa Joy per spiare l’Immortale Iron Fist.

Ritorna anche Ward Meachum, in una totale e assoluta crisi, assiduo ma infruttuoso frequentatore dei Narcotici Anonimi, aiutato dalla dottoressa Bethany, suo sponsor.

In prestito da Luke Cage arriva la frizzante Misty Knight; alla detective era stato recentemente proposto il ruolo di Capitano nel suo distretto e, per non prendere una decisione affrettata, si prende qualche giorno di ferie per pensarci. È durante questi giorni di riposo che viene in contatto con Danny e Colleen, dopo aver sentito che un suo collega, sotto copertura in una delle gang cinesi attualmente in guerra, era stato ferito dal mistico pugno di Danny.

Durante tutti e dieci gli episodi lo spazio riservato a Danny è tutto sommato limitato, venendo ampiamente esplorate e rappresentate tutte le storyline dei personaggi secondari o, meglio, dei co-protagonisti. Anche questa trovo che sia una scelta vincente, in quanto effettivamente la serie si chiama “Iron Fist” e non “Daniel Rand”, perché alcuni personaggi secondari sono davvero interessanti e ben scritti – nonché magistralmente interpretati – a partire dai fratelli Meachum.

Ward è devastato dalla morte del padre e dall’allontanamento dalla sorella, cerca in ogni modo di riavvicinarsi a lei ma questa lo respinge a più riprese, mostrando tutto il suo dolore e, in maniera un po’ disturbata, il suo attaccamento a lui.

Il personaggio di Mary Walker è interessante per diversi motivi: è uno dei primi personaggi che soffre di disturbo dissociativo dell’identità che non viene presentato in maniera morbosa, sebbene è chiaro che la ragazza abbia subito forti traumi che le hanno procurato una tale patologia. Un altro punto di interesse, più squisitamente nerd, è la menzione a Sokovia, città immaginaria dove si sono svolti i tragici avvenimenti di The Avengers: Age of Ultron. Come in altre occasioni gli ammiccamenti al MCU sono piuttosto blandi; considerando che le serie Netflix pare siano immuni ai più recenti avvenimenti dei film cinematografici (fino ad ora sembrava tutto fermo al primo film degli Avengers, uscito nel 2012) ho recepito il tutto con un certo entusiasmo.
Il terzo e ultimo aspetto davvero intrigante di Mary Walker è che continua a oscillare tra l’essere un alleato o un antagonista del gruppo, il tutto mantenendosi saldamente stretta alla sua personalità principale.

Il vero antagonista di questa stagione è però Davos, invidioso del fatto che sia stato Danny ad ottenere il potere dell’Iron Fist e tremendamente deluso da quello che considera un fratello per aver abbandonato K’un-Lun al suo destino, preferendo una vita agiata a New York.
Davos contesta anche i metodi troppo buoni di Danny, fermamente convinto a non voler uccidere nessuno, preferendo un approccio più definitivo nei confronti dei suoi nemici.

Prima di concludere voglio citare anche il duo formato da Misty e Colleen, colleghe nei fumetti Marvel, nonché alcune scene tra Danny e Ward, che si prendono un po’ in giro ma si capiscono e comprendono come solo due fratelli possono fare, sebbene non abbiano legami di sangue. I due uomini riescono a mettere in relazioni sentimenti strettamente umani con alcune sensazioni mistiche provate da Danny nei confronti dei poteri ottenuti a K’un-Lun.

Il finale di stagione lascia chiaramente aperta la porta ad una terza stagione, con possibili grosse sorprese.

La scena finale è parecchio tamarra, non l’ho apprezzata per niente, sebbene mi abbia un po’ rincuorato.

E non mi riferisco alla scena post-credit

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